La critica letteraria (1958)

La critica letteraria, in Aa. Vv., La filosofia contemporanea in Italia, II, Società e filosofia di oggi in Italia, Roma-Asti, Arethusa, 1958, pp. 323-344; poi in W. Binni, Poetica e poesia. Letture novecentesche, a cura di Francesco e Lanfranco Binni, introduzione di Giulio Ferroni, Milano, Sansoni, 1999.

La critica letteraria

Non si può iniziare l’abbozzo di un quadro della critica letteraria italiana contemporanea senza rilevare preliminarmente l’importanza rinnovatrice e la forza di persistenza (anche se come oggetto di reazioni e di polemica) della metodologia e dell’opera critica di Benedetto Croce in un campo della nostra cultura che da quelle venne rinnovato e fecondato e comunque stimolato, sin dai primi anni del secolo, in una storia ricca e complessa, la cui sostanziale continuità non permette tuttora di considerare totalmente superati i rapporti con quella metodologia critica, anche se sempre piú forti si son venute facendo le istanze non crociane e anticrociane e il dialogo con il filosofo-guida ha assunto, specie dopo la sua morte, il carattere di piú distaccata revisione delle sue posizioni.

L’estetica e la critica crociane si imposero anzitutto nella cultura italiana in forza della loro stessa vigorosa semplicità, del loro lucido potere chiarificatore ed organico, della loro coerenza con una generale sistemazione metodologica che sintetizzava una tradizione critica di alto livello filosofico e storico (Vico e De Sanctis) e rispondeva alle esigenze piú vive di un’epoca – il primo Novecento – incerta fra il declino di uno stanco positivismo, gli irrequieti fermenti del decadentismo, e bisognosa di incanalare le sue aspirazioni piú nuove e valide di rinnovamento in una precisa direzione centrale. E se nella soluzione idealistico-umanistico-liberale del Croce andaron sacrificati fermenti religiosi e sociali che urgevano in quell’epoca nella società italiana senza allora riuscire a costituirsi in precisi accordi pratico-culturali, tanto piú chiara ed efficace fu la funzione rinnovatrice e chiarificatrice del Croce in campo estetico-critico, in cui, specie in quel primo periodo, il suo metodo costituí la base di una fervida ripresa della attività critica, dopo l’innegabile depressione dei suoi compiti piú centrali da parte di quella scuola erudita a base positivistica (il metodo storico), che, se aveva rappresentato un momento importante di rigore scientifico e filologico, un richiamo essenziale alla preparazione della operazione interpretativa sull’accertamento di dati, di testi, di conoscenze tecniche, aveva pur implicato, sotto il peso della stessa sua ricchezza erudita, e in relazione a un gusto e a una filosofia chiusi al senso dei valori piú profondi della poesia, della personalità e della storia, una sostanziale rinuncia all’esercizio piú proprio della critica scambiando spesso gli strumenti e le ricerche preparatorie con il fine cui son destinate. Il Croce riportò la critica alla sua piú alta funzione distinguendola energicamente sia dalla sua risoluzione nell’erudizione e nella strumentale preparazione filologica e tecnica (e se dalla sua reazione polemica poté in parte derivare una certa eccessiva svalutazione di tali studi, stimoli crociani non mancarono di operare positivamente nello stesso settore filologico-erudito a favore di un senso piú individualizzante e critico di quella problematica), sia da quella degustazione estetizzante che pure, a suo modo, reagiva all’aridità positivistica e i cui elementi piú vivi e moderni, fra gusto dell’immagine dannunziana e purezza e immediatezza lirica pascoliana, venivano in parte riassorbiti e piú profondamente giustificati nell’estetica crociana (intuizione-espressione, liricità dell’immagine). La quale insieme sosteneva, con il forte senso dell’originalità creativa personale, le esigenze antiretoriche e romantiche di un largo movimento di rinnovamento spiritualistico ed idealistico variamente attivo in personalità critiche del primo Novecento (Enrico Thovez[1], G.A. Borgese, Eugenio Donadoni). E se, come vedremo, la posizione crociana apparve sempre piú insufficiente a risolvere in se stessa, dopo quel primo periodo, il vasto movimento della letteratura contemporanea e le esigenze critiche in quella implicite, essa mantenne la sua validità di linea centrale della critica italiana, la sua capacità di dialogo con nuove istanze e tendenze (oltreché di base di una vasta corrente crociana variamente scolastica o piú fecondamente originale), grazie ai suoi saldi principi essenziali (autonomia dell’arte, personalità dell’ispirazione) e al suo vigoroso dinamismo che, in un fecondo scambio di sviluppo teorico e di esperienza critica, la arricchí di svolgimenti e di successive offerte di concreti esempi e di nuovi temi teorico-critici ben al di là delle sue prime formulazioni, in un progressivo approfondimento e arricchimento del valore poetico e dell’inerente operazione critica tesa a rilevarne in concreto la complessità e il raccordo con gli altri valori (teoria della circolarità dello spirito, della totalità e liricità dell’esperienza poetica, della sua essenziale cosmicità) e insieme la sua purezza ed altezza, fino ad una conclusa e luminosa sintesi romantico-classica («sentimento gagliardo che si è fatto rappresentazione nitidissima»). E la stessa intransigente distinzione di «poesia e non poesia», che costituí il momento piú discusso e discutibile della critica crociana e il tema piú abusato del crocianesimo piú ortodosso (ma anche l’implicita e non rinnegabile affermazione della necessità comunque per la critica di determinare la peculiarità del valore poetico e della sua concreta realizzazione), non escluse il successivo sforzo del Croce per giustificare lo studio della non-poesia nella nuova complessa nozione di letteratura, per permettere, a suo modo, la considerazione storica se non della poesia (la cui storia è crocianamente solo storia dei singoli poeti e delle singole opere d’arte) della tradizione e della cultura letteraria[2].

Se la coerenza teorica e l’interna forza dinamica, che resero il metodo crociano capace di una lunga e feconda articolazione, sostennero la sua validità e centralità nella critica italiana ben al di là del suo primo essenziale momento di rinnovamento all’inizio del Novecento, già in quel primo periodo, in zona latamente vociana si precisarono ben presto, e a volte sulla stessa base dell’accettazione di generali principi crociani, esigenze di una maggiore libertà interpretativa, il bisogno di adeguare con una piú ampia apertura critica (magari con la paradossale proposta di un’estetica particolare per giudicare ogni singolo artista) le diverse poetiche e le diverse nature degli artisti, nelle loro intime e diverse ragioni di sviluppo, nel caldo fermento della loro vita morale e spirituale, come si può avvertire nell’attività critica di Scipio Slataper, di Giovanni Boine e dello stesso G.A. Borgese[3], che, dopo un’iniziale ortodossia crociana, si volse all’ambizioso proposito di contrapporsi al maestro sulla base di una nuova estetica dell’unità e della personalità che rimase allo stadio di conato velleitario, piuttosto isolato dalle piú recenti istanze anticrociane. Mentre Renato Serra[4], componendo l’ideale umanistico-tecnico del Carducci con la piú sottile sollecitazione delle esperienze poetiche contemporanee, apriva, con la sua religione delle lettere e con la mèta suprema del saper leggere, una linea critica che – fra una specie di risoluzione letteraria della volontà del tecnicismo e dell’intransigenza morale di vociani e lo sviluppo della letteratura in direzione rondistica – trovò il suo piú deciso svolgimento stilistico-umanistico nella lettura di Giuseppe De Robertis[5], temperamento sottile e sensibilmente analitico, realizzatosi in una vibratile auscultazione della poesia nei suoi valori piú formali e musicali, che ha avuto, ed ha una sua indubbia importanza come particolare scuola di sensibilità letteraria, come richiamo ad un’attenzione puntuale al testo poetico, anche se, nella sua implicita nozione di poesia e nella sua concreta applicazione interpretativa, sembra troppo poco considerare nella poesia e nella storia letteraria la loro complessità etica e storica. Tale posizione ben corrispondeva alla prevalente tendenza formalistica della letteratura rondistica, alle forme della prosa d’arte e della poesia post-simbolistica dominanti nell’epoca fra le due guerre, alla cui affermazione e giustificazione attivamente collaborava (indirizzando d’altra parte la sua attenzione, nella letteratura del passato, a quegli autori – Leopardi in primo luogo – che di quel gusto potevano apparire in parte tradizionale giustificazione). Ché di quella letteratura di origine rondistica era caratteristica l’intima collaborazione critico-creativa e la base comune del saggio e sotto quel segno di alto esercizio stilistico si sviluppò un’abbondante produzione saggistica di critici-letterati (alcuni dei quali tuttora efficacemente attivi specie nei quotidiani e nei settimanali), attenti, nelle loro letture, agli stessi valori presenti nelle loro poetiche, ispirati all’amore variamente gustoso o intellettuale della bella pagina, del ritmo, dell’incontro di intelligenza e sensibilità, dell’impasto linguistico classico-moderno (da Antonio Baldini fino a Giuseppe Raimondi), non privi d’altra parte in alcuni casi di genuine preoccupazioni storiche e morali (Riccardo Bacchelli) e persino di istanze teoriche congeniali alla loro attenzione ai mezzi espressivi, alla loro valorizzazione degli scambi e della peculiarità delle varie arti (come è il caso soprattutto di Alfredo Gargiulo[6], ricco, dopo la sua prima formazione crociana, di riflessioni e riprese di temi teorici di origine romantica e notevole per la sua giustificazione critica della letteratura novecentesca), affinati da un’esperienza delle letterature straniere e delle arti figurative che fruttò soprattutto nell’opera della maggiore personalità di questo indirizzo saggistico, Emilio Cecchi[7]. Cecchi è certo uno dei temperamenti critici piú originali del nostro tempo e il suo discorso critico realizza un raro incontro di sensibilità artistica, di esperienza personalissima e di un giudizio libero e sicuro (particolarmente acuto nei suoi ottimi saggi su scrittori inglesi e americani), che può sembrare persino potenzialmente capace di un’opera critica superiore agli stessi risultati raggiunti, sol che fosse sorretto da un impegno piú deciso, da un piú forte impeto costruttivo, sol che forzasse certi limiti della sua cautela e di quella sua istintiva misura toscana che in certo modo può avvicinarlo alla misura, al gusto della concretezza e della chiarezza che caratterizza l’opera pure originale e personale di un altro saggista e cronista attivissimo fra le due guerre e nell’ultimo dopoguerra: Pietro Pancrazi[8], in cui funzionava, come forza e come limite, un particolare gusto di sanità etico-letteraria piú tradizionale e ottocentesca, e la diffidenza, spesso eccessiva, verso le avventure e le novità troppo brusche, ma anche, a volte, verso le espressioni piú profonde, i fermenti piú rivoluzionari della nuova letteratura.

Ma, mentre negli sviluppi della nuova letteratura si devono segnalare gli interventi critici di altri artisti, narratori e poeti, impegnati originalmente in varie forme di creazione originale e di critica a quelle aderente, negli anni di «Solaria» e di «Letteratura» (Massimo Bontempelli, Elio Vittorini, Alberto Moravia, Sergio Salmi, e soprattutto Eugenio Montale), la posizione della saggistica di origine serriana e rondistica (nonché quella del Croce e del crocianesimo piú ostili alla nuova letteratura) non parve sufficiente ad adeguare le tendenze piú «ermetiche» della letteratura contemporanea, nelle sue implicazioni spirituali e nei rapporti piú intimi fra vita e poesia. Specie nella vivace posizione di un gruppo di giovani che, negli anni immediatamente vicini alla crisi della seconda guerra mondiale, composero gli stimoli di proposte critiche e letterarie specialmente francesi (Gide, Du Bos, ecc.) con un proprio bisogno di piú profondo contatto fra critica e creazione poetica al di là del semplice ideale di una alta civiltà letteraria e formale, sulla base di una esigenza creativa della stessa critica e di un impegno spirituale autobiografico che poteva riavvicinarsi, negli antecedenti di primo Novecento, piú a Boine che a Serra, al quale si rimproverava la limitatezza formale e umanistica della sua «coscienza di letterato». Nacque cosí la breve esperienza della critica ermetica, che, nel confuso appoggio di vari elementi culturali e spirituali (elementi religiosi ed esistenzialistici), svolse un copioso e vistoso esercizio di ricreazione dei testi poetici contemporanei piú congeniali, italiani e stranieri (tanto piú rischiosi i tentativi di applicazione a testi non contemporanei), che, a volte stimolante come richiamo alla ricerca di motivi spirituali presenti nella parola poetica e all’impegno personale del critico con la sua attuale problematica, finí per lo piú per risolversi in una monotona riduzione dei testi in una lettura privata e antistorica, complicata dalla cifra ermetica del linguaggio allusivo e misticheggiante che poteva anche confondere i temperamenti e le esigenze piú genuine (Carlo Bo, Oreste Macrí[9], Giansiro Ferrata) con i numerosi seguaci della moda, a cui poté dare impulso anche un atteggiamento piú generale di evasione dalla realtà circostante imposta dalla brutale presenza della dittatura (di per se stessa assolutamente incapace di incidere in qualsiasi maniera positiva nella critica italiana, fortunatamente esente – se non in giornalistiche forme risibili di polemica anticulturale – da ogni tentativo di applicazione critica della confusa e torbida mitologia razzistica e nazionalfascista).

Si può notare come la critica di origine serriana, rondistica ed ermetica – piú viva nel contatto con la letteratura contemporanea, nella cui giustificazione (si ricordi in tal senso l’attività di E. Falqui e, in forma particolarmente equilibrata e lucidamente informativa, quella di Arnaldo Bocelli[10]) adempí alla sua piú importante missione – sia stata in generale meno efficace e produttiva nell’interpretazione della letteratura del passato che a lungo rimase sostanzialmente dominio della critica idealistica e latamente crociana. Latamente crociana dico, ché se l’ambito dell’influenza del Croce è vastissimo, specie nel periodo fra le due guerre, assai limitato è il preciso filone crociano ortodosso, e questo stesso mostrò ben presto di essere impari al fervido sviluppo del maestro, attardandosi per lo piú nell’applicazione schematica e scolastica del canone di poesia e non poesia contro il quale viceversa ben presto reagirono in varie forme i crociani piú originali e sensibili alla sollecitazione di altre istanze sorte nel seno stesso della cultura idealistica e spesso confortate in parte o stimolate reattivamente dagli sviluppi piú recenti della stessa metodologia crociana. Mentre poi nell’atmosfera estetica di origine crociana si svolgevano esperienze piú indipendenti, fra le quali meritano particolare attenzione quelle di due critici accomunati da una decisa reazione al metodo storico e da un personale, intimo senso della poesia. Il primo, Eugenio Donadoni[11], piú vicino a certe esigenze spirituali del primo Novecento vociano, realizzò la sua appassionata attenzione alla drammaticità della esperienza umana e storica dei poeti in una vigorosa ricerca di vite interiori tuttora significativa e suggestiva; il secondo, Attilio Momigliano[12], associò, nella sua vasta e originale opera di interpretazione della nostra letteratura (e a lui si deve una storia della letteratura italiana ricchissima di giudizi nuovi, e di spunti stimolanti anche dove piú debole può apparire il tessuto storico e meno convincenti sono le conclusioni, specie nei confronti della letteratura contemporanea a cui il suo gusto era meno congeniale), una squisita sensibilità, particolarmente rilevabile nei suoi commenti, ad una forte iniziativa critica personale e ad una vasta gamma di congeniale reazione a mondi poetici diversi, anche se si possono a volte rilevare nella sua opera un certo eccesso di romanticizzamento sentimentale e il rischio di un’adeguazione impressionistica, pur finissima e originale, dei valori poetici.

E temperamenti critici originali e posizioni significative son ben individuabili in un quadro della critica di origine crociana, ma arricchita da nuove esperienze e da una personale rielaborazione e sviluppo di temi crociani: soprattutto quelli di Francesco Flora[13] e di Luigi Russo[14], che sono anche contraddistinti, come già Donadoni e Momigliano, da una vasta esperienza della nostra letteratura, mancante invece ad altri studiosi e critici dotati di un respiro di lavoro e di interpretazione meno vigoroso, di un interesse piú particolare e specialistico. Piú vicina ai principi dell’Estetica – e insieme legata ad un originale sviluppo di esperienze letterarie novecentesche in quella sua poetica della «parola» che fonde elementi umanistico-idealistici con quelli di un certo dannunzianesimo piú raffinato – appare la posizione del Flora, attuata in una direzione di interpretazione monografica che caratterizza la sua stessa storia della letteratura italiana, nella quale piú che un forte senso della continuità storica predomina una lettura ricca di giudizi e di indicazioni (specie a vantaggio dei minori dei cui risultati poetici essa presenta spesso un interessantissimo recupero antologico) entro una calda atmosfera di amore per la poesia resa però piuttosto uniforme dal canone floriano della religione della parola e dallo stesso linguaggio critico che accentua una certa inclinazione di lettura musicale piú che di incisiva interpretazione sintetica. Mentre la posizione del Russo, arricchita, nella sua base crociana, da un forte ricorso a motivi storici desanctisiani, da una poetica realistica stimolata dal fecondo contatto con l’opera del Verga, nonché da elementi dell’attualismo del Gentile[15] (che tese ad un’estetica piú unitaria di quella crociana e al rilievo del «sentimento» e dell’afflato spirituale presente nell’opera d’arte), è caratterizzata da una fondamentale esigenza storicistica che innerva la vasta attività interpretativa dello studioso, volto, piú congenialmente alla sua indole, a ricostruire (anche con una forte utilizzazione della storia dei problemi critici e con l’appoggio di un’assidua e spesso violenta polemica di metodo critico contro le posizioni impressionistiche, psicologiche, formalistiche di origine decadente ed ermetica) la realtà poetica nella sua storica esistenza, fino alla piú recente accentuazione della speciale politicità di ogni opera poetica, non senza il rischio di una interpretazione a volte prevalentemente storico-culturale.

Né si deve dimenticare di calcolare l’efficacia del rinnovamento critico nel campo dello studio dei classici greci e latini in cui alla originale opera filologica di Giorgio Pasquali[16] corrisponde l’interpretazione piú decisamente estetica di critici e saggisti come Manara Valgimigli[17], sensibilissimo lettore di squisita educazione carducciana, come Concetto Marchesi[18], autore di valide monografie critiche e di una eccellente storia della letteratura latina; cosí come la metodologia e la stessa attività critica del Croce, esercitata anche, con varia felicità, su autori stranieri, contribuirono a rendere piú esteticamente avvertito e criticamente impegnativo quel vasto lavoro di interpretazione delle letterature straniere in cui la critica italiana ben dimostra la sua precipua attenzione al valore poetico, pure associata a quella ricchezza di interessi e di problemi che è sollecitata anche dal vivo contatto con le tradizioni critiche di altri paesi. E ricorderemo nel campo della letteratura francese l’opera vigorosa di Luigi Foscolo Benedetto, la critica nitida ed acuta di Ferdinando Neri, la fine saggistica di Vittorio Lugli e di Pietro Paolo Trompeo, la sottile e modernissima problematica di Giovanni Macchia (e ancora l’attività di Glauco Natoli e di Diego Valeri); in quella della letteratura tedesca (in cui portò fervore di ricerca se non sicurezza metodologica anche la scuola di Arturo Farinelli) l’attività di Vittorio Santoli, di Lavinia Mazzucchetti, di Lionello Vincenti, di Bonaventura Tecchi; in quella della letteratura inglese e americana, oltre l’opera critica di Cecchi e Montale già ricordata, quella di Mario Praz, di Salvatore Rosati, di Paolo Milano, di Sergio Baldi, di Gabriele Baldini, nonché, per la letteratura russa, l’attività di Leone Ginzburg (morto nella resistenza antifascista e antitedesca), di Renato Poggioli, di Ettore Lo Gatto[19]. Studiosi e critici che spesso fondono felicemente una piú particolare attività di studio scientifico con quella di critici «militanti» dimostrando come, per lo stesso atteggiamento antiaccademico e antispecialistico del Croce e per la concreta apertura di interessi della nostra cultura, sia assai difficile stabilire una netta separazione fra critica universitaria e critica militante, come è ugualmente difficile limitare ad un’applicazione puramente specialistica di generi artistici (con una certa eccezione per la critica teatrale che ha avuto critici e cronisti piú particolarmente specialistici, come Renato Simoni e Silvio D’Amico[20]) un’attività critica che dalla metodologia crociana ha comunque generalmente accolto la diffidenza per l’assoluta distinzione e indipendenza dei generi letterari e della relativa applicazione interpretativa.

La resistenza al fascismo e la piú intensa vita politica dopo la liberazione hanno certamente contribuito ad accentuare una maggiore attenzione al rapporto fra posizioni critiche e piú complessi impegni ideali.

Sarebbe però azzardato attribuire alla caduta della dittatura il carattere di un preciso discrimine nella critica italiana. La continuità di questa è costituita sia dal persistere del notato riferimento di sviluppo e di polemica con la metodologica crociana, la cui conclusione di personale sviluppo, con la morte del filosofo (1952), non esclude certo la difficoltà di un suo sicuro e totale superamento teorico (che non si può dire pienamente realizzato né con le proposte estetiche del Borgese, del Tilgher, del Gargiulo, del Gentile, né con quelle piú recenti del Banfi, del Baratono, del Calogero, né con gli assaggi poco approfonditi di teorizzazioni esistenzialistiche e marxistiche), sia dalla prosecuzione dell’attività di personalità già efficacemente presenti nel periodo precedente, come quelle del Momigliano, del Pancrazi (recentemente scomparsi), del Flora, del Russo, del De Robertis, del Cecchi. Tanto piú che un carattere della nostra critica è proprio quello di una forte viscosità e di una certa lentezza e complessità di svolgimento che limitano la rapida fortuna di rinnovamenti eversivi entro una tradizione ricca e caust, attentissima ad avvertire le aporie di ogni nuova posizione e a verificarne la consistenza nella sua pratica capacità di risultati critici.

Si possono ad ogni modo indicare con sufficiente sicurezza alcuni caratteri, alcune esigenze e tendenze che spiccano nella problematica contemporanea. All’accentuata insoddisfazione per la semplice diagnosi di poesia e non poesia, specie nelle sue forme schematiche di un volgare crocianesimo già combattuto in seno alla critica idealistica piú avvertita, e alla stanchezza per gli eccessi scolastici di un commento impressionistico-psicologico, della degustazione musicalistica e pittorica, e delle rigide interpretazioni a tesi e a formula di tipo prevalentemente filosofico-culturale, corrisponde soprattutto l’esigenza di una interpretazione piú esauriente e rispettosa della realtà dell’opera e della personalità studiata, che implica tutta una complessa rivalutazione della piú sicura base di conoscenza filologica ed erudita, nonché di una maggiore tecnicizzazione dell’operazione critica attraverso il saldo possesso e l’uso di strumenti atti ad assicurare la massima penetrazione nella precisa esistenza espressiva del mondo poetico. E questa esigenza tende a saldare il lavoro dei filologi che sviluppano le lezioni feconde del Pasquali e di Michele Barbi[21] (Francesco Maggini, Alberto Chiari, Vincenzo Pernicone, Raffaele Spongano, Giuseppe Billanovich, Vittore Branca, Lanfranco Caretti, e, fra testi italiani e testi romanzi, Salvatore Battaglia, Angelo Monteverdi, Aurelio Roncaglia) con quello dei critici e storici letterari in una collaborazione che presuppone sempre piú uno scambio di esperienze e la coesistenza spesso delle due capacità nelle stesse persone, come è soprattutto il caso di Gianfranco Contini[22] (interessantissimo esempio di unica personale lettura filologica e critica, di penetrazione in testi antichi e contemporanei, di originale linguaggio critico-tecnico). E come si può riscontrare anche in uno studioso quale Mario Fubini[23] il cui svolgimento, iniziato ed affermato con valide opere critiche in zona crociana, si è poi venuto precisando in una piú assidua utilizzazione della filologia, in una piú attenta considerazione dell’espressione stilistica e in quella forte esigenza dell’accertamento erudito, anche in forme di contributo particolare, che con nuovo spirito riprende modi di studio del migliore metodo storico, svoltosi anche in epoca crociana con nuova consapevolezza critica, ad opera di studiosi come Vittorio Rossi e Carlo Calcaterra, e risolto in una problematica piú moderna da studiosi come Umberto Bosco e altri in parte già ricordati per la loro vocazione filologica, ma spesso attivi anche in campo propriamente critico e storico-letterario insieme a molti altri studiosi e critici di cui i limiti di spazio ci costringono a ricordar solo il nome senza poterne caratterizzare le tendenze metodologiche e gli aspetti piú personali: come Giuseppe Citanna, Giuseppe Toffanin, Giovanni Getto, Mario Sansone, Claudio Varese, Mario Apollonio, Mario Marcazzan, Giorgio Petrocchi, Carlo Grabher, Raffaello Ramat e ancora Piero Bigongiari, Ettore Bonora, Emilio Bigi, Ferruccio Ulivi, Adelia Noferi, Luciano Anceschi ed altri che avremo occasione di ricordare piú avanti[24].

Nel caso del Fubini, personalità dotata di un particolare acume e di una rigorosa, lucida coerenza interna, l’accertamento filologico e stilistico si innerva sempre in una genuina attitudine di interpretazione centrale e in una coscienza storica che lo autorizzano ad un particolare programma di vasta utilizzazione dei nuovi mezzi ermeneutici collegati anche ai suoi interessanti svolgimenti della nozione crociana di letteratura, e che nella concretezza dei suoi studi riduce sia un eventuale pericolo di eclettismo sia quelli dello specialismo e del formalismo stilistico; i quali possono essere indicati come corrispettivo attuale o potenziale del presente sforzo di arricchimento e concretamento dell’operazione critica mediante il potenziamento dell’accertamento filologico-erudito e dell’esame tecnico-stilistico dell’opera d’arte. Questo sforzo appare infatti importante e valido quanto piú appunto sia consapevole del proprio carattere strumentale e tenga ferma la subordinazione delle ricerche particolari al fine di interpretazione centrale e di ricostruttivo giudizio del valore poetico nel suo carattere personale e storico. Avvertimento che appar necessario non solo di fronte a certi eccessivi tentativi di totale risoluzione della critica nella filologia e a riprese di eruditismo fine a se stesso, ma anche nei riguardi di quella critica stilistico-linguistica che, specie nel suo côté piú scientifico, arricchito anche da un notevole scambio con esperienze straniere, si può considerare come una delle tendenze di studio piú recenti e piú suggestive, e comunque stimolanti – anche nelle sue applicazioni piú autonome (Giacomo Devoto, Benvenuto Terracini, Antonino Pagliaro) –, ad un piú esauriente esame critico, che utilizzi, nella interpretazione, l’importante offerta di tecniche descrittive dei mezzi espressivi e della loro attuazione e adibisca al rilievo della espressione poetica e del suo rapporto con il linguaggio di un’epoca i risultati dei nuovi studi di storia della lingua (Giacomo Devoto, Bruno Migliorini, Alfredo Schiaffini, Giovanni Nencioni, Gianfranco Folena[25]), davvero rinnovatori in un campo della nostra cultura critica che non conosceva se non gli approssimativi assaggi critico-linguistici di Giulio Bertoni o alcuni precedenti autorevolissimi, ma poi poco svolti, in alcuni aspetti del metodo storico rinnovato dallo stesso contatto con la metodologia crociana (De Lollis, Parodi[26]).

D’altra parte nella critica di quest’ultimo quindicennio si deve calcolare la presenza della tendenza marxista, animata da una volontà di totale rinnovamento culturale-politico e dalla polemica con i modi piú evasivi e formalistici di origine rondistica, simbolistica, ermetica, sollecitata da una intensa e spesso programmatica attenzione alla «realtà» e dai risultati del nuovo realismo narrativo italiano e straniero. Violentemente anticrociana nel suo centro ideologico piú intransigente che mira a ricostruire una linea di tradizione critica italiana De Sanctis[27]-Gramsci[28] (lo strenuo combattente e martire antifascista che avviò una interessante interpretazione della nostra letteratura in senso marxista insistendo, in un vivacissimo dialogo con la posizione del Croce, sul valore dei nessi fra poesia e storia economico-politico-sociale), questa tendenza mostra in realtà una certa cautela o incertezza nell’applicazione piú diretta dei canoni sociologici-classistici specie alla letteratura del passato. E mentre appare tuttora in fase di ricerca quanto ad una giustificazione teorico-estetica fra posizioni piú ortodosse, discussioni di teorici marxistici stranieri (specie il Lukács) e proposte originali (fra le quali da ricordare quella di Galvano Della Volpe), essa presenta in zona propriamente critica una notevole varietà di atteggiamenti: fra posizioni piú ortodosse ed ufficiali, compromessi fra stilismo e marxismo (il caso ad es. di Adriano Seroni), soluzioni piú personali e piú vicine a tendenze saggistiche di raffinato e modernissimo psicologismo, come quella assai originale e stimolante di Giacomo Debenedetti, e un prevalente storicismo, particolarmente efficace e duttile (mentre meno maturo e sicuro appare nelle prove variamente interessanti di Carlo Muscetta, di Gaetano Trombatore, di Giuseppe Petronio) nell’attività critica di Natalino Sapegno, acuto e nitido storico letterario (dotato di una singolare capacità di esposizione critico-storica, particolarmente esercitata in una notevole storia della letteratura italiana[29]) che sviluppa le sue iniziali posizioni storicistiche-idealistiche, già indirizzate in un attento rilievo del tessuto culturale storico e tecnico, verso una piú decisa interpretazione storica.

Questa esigenza storica è certo uno degli elementi piú importanti dell’attuale fase della critica italiana, ben presente anche fuori della zona ultimamente indicata, in critici di diversa formazione, fermamente fedeli al valore della poesia e aperti alle esigenze di accertamento tecnico che le nuove esperienze di studio cosí abbondantemente stimolano. Ed è in tale direzione storicistica che a me pare debba segnarsi la piú valida strada di un’attività critica capace di superare le forme unilaterali del tecnicismo, dello stilismo, di rinnovati pericoli contenutistici e gli aspetti piú chiusi del crocianesimo, senza limitarsi ad una sterile attesa di quell’ulteriore totale chiarificazione teorica che offra alle nuove esigenze critiche una base organica e sicura quale è stata la teoria estetica e la metodologia crociana. Proprio in questo periodo di revisione, di svolgimenti e di nuove ricerche, mi par anzitutto necessario che ogni critico, dotato di una autentica ispirazione, porti avanti la sua concreta esperienza avvertendo come dall’incontro, dall’attrito e dal dialogo di genuine, sincere esperienze critiche e di nuove proposte metodologiche elaborate su piano teorico, ma sempre piú implicanti un’attiva collaborazione fra pratica e teoria, possa anche sperarsi una migliore chiarificazione generale, una organizzazione e precisazione piú sicura degli strumenti interpretativi. E se tale programma giustifica una particolare attenzione al lavoro altrui, e una sicura consapevolezza dei concreti problemi critici nel loro svolgimento storico[30], esso insieme richiede una personale decisione di iniziativa critica tanto piú valida quanto piú alimentata da un vivo contatto con la letteratura creativa del nostro tempo, nel rifiuto della scissione fra critica della letteratura del passato e critica della letteratura contemporanea a favore della unità dell’esperienza critica, e nella consapevolezza della forza che deriva al critico da una appassionata apertura alla problematica del proprio tempo (non solamente letterario), dalla sua sincera disposizione a sentire la letteratura contemporanea in una concreta e non cronistica determinazione dei suoi valori attivi e consistenti, e a farsi insieme contemporaneo alla letteratura del passato, ai suoi risultati poetici e alle loro condizioni storiche, rivivendo dal profondo la vitalità e la tensione al valore che ce la rende effettivamente vicina e comprensibile. Tale incontro fra un critico vivo nel proprio tempo e una letteratura non ricostruita archeologicamente, ma assicurata viva nei suoi valori, nelle sue aspirazioni, nel suo svolgimento complesso e dinamico, implica insieme la chiara subordinazione di ogni conoscenza strumentale e della certezza dei dati al compito fondamentale di ricostruire e far vivere nel nostro tempo la profonda realtà della poesia nella sua individuazione personale e nella sua espressione di una realtà storica a cui il piú rivoluzionario e originale dei poeti non manca mai di collaborare, specialmente quando reagisce ai suoi aspetti piú fermi ed esterni e, con il suo accento creativo e rinnovatore, ne porta in luce le esigenze piú profonde.

Da questo punto di vista, che tende ad inverare storicisticamente il senso profondo della dinamicità della vita e dell’elaborazione dei valori che in essa si affermano – sia nello sviluppo delle personalità creative, sia nel vasto muoversi di un’epoca verso la sua espressione poetica —, penso che possa utilmente proporsi, fra i temi vivi nell’attuale fase critica, quello dello studio della poetica[31] come particolarmente adatto a superare la piú schematica distinzione di poesia e non poesia, e l’isolamento monografico dei singoli scrittori, a permettere insieme una ricostruzione effettiva della storia letteraria e della storia delle singole personalità sulla base di un comune motivo di esistenza dinamica e di tensione al valore espressivo che può giustificare e dare un significato anche alle esperienze e alle personalità prive di compiuta realizzazione, ma collaboranti a quella tensione.

Puntando su tale direzione di critica dinamica, e di studio della poetica, come linea concretamente storicizzabile e momento di confluenza commutativa di storia e di cultura nella prospettiva creatrice del poeta, appare inoltre possibile una attiva sintesi delle esigenze piú vive dell’attuale problematica. Mentre infatti nello studio della poetica si può cogliere il vivo fluire della storia – nelle sue piú complesse condizioni spirituali, etiche, sociali, politiche, culturali – entro l’aspirazione di un’epoca alla propria espressione poetica e nella personale tensione espressiva dei poeti (senza con ciò perdere e la peculiarità del momento estetico e l’originalità del personale risultato poetico in cui tensione e aspirazione dimostrano la loro effettiva validità), questo modo di interpretazione storico-critica giustifica ed orienta centralmente le esigenze della nuova coscienza filologica, erudita, stilistica e linguistica verso una interpretazione unitaria e dinamica della storia letteraria e della storia delle personalità poetiche nei loro nessi di continuità e di rinnovamento linguistico e stilistico, mai astratto dalla piú profonda tensione dei motivi storici e lirici, mai riducibile a puro calcolo formale anche quando è piú tormentato e sottile. Ché, in tale interpretazione di esperienze vitali e complesse, persin lo studio delle varianti di un testo, lo studio dell’«officina» di un poeta, si trasformano nella possibilità di cogliere il vivo muoversi della personalità creatrice, la sua viva discussione con il gusto del proprio tempo, la sua tensione di realizzazione concreta della propria poetica, le forme di tale sua realizzazione, la sua vita artistica e storica, il suo impegno fra vita e poesia. Naturalmente questa proposta, che è frutto di concrete esperienze critiche e di una elaborazione di posizioni storicistiche precedenti, è ben consapevole del suo carattere di proposta e di esperienza, delle difficoltà pratiche e teoriche che essa può implicare, della ricchezza di altri svolgimenti che possono precisarsi nell’attuale situazione critica. Ma a me pare che essa rappresenti una offerta valida ed aperta, confortata dalla sua stessa capacità di realizzare sinteticamente molte delle esigenze che abbiamo notato in questo rapido quadro della critica letteraria italiana di questi ultimi decenni.


1 Di E. Thovez vedi: Il pastore, il gregge e la zampogna, Napoli 1909, Torino 19482.

2 Fra le opere del Croce, tutte piú volte edite dal Laterza a Bari, si vedano almeno: Estetica; Problemi d’estetica; Nuovi saggi di estetica; La poesia; La letteratura della nuova Italia; Goethe; Ariosto, Shakespeare e Corneille; La poesia di Dante; Poesia e non poesia; Storia dell’età barocca in Italia; Poesia popolare e poesia d’arte; Poesia antica e moderna; La letteratura italiana del Settecento; Poeti e scrittori del pieno e tardo Rinascimento.

3 Di G.A. Borgese vedi: Storia della critica romantica in Italia, Trani 1903, Milano, 19493; G. D’Annunzio, ib. 1909, 19322; Ottocento europeo, ib. 1927; Poetica dell’unità, ib. 1934.

4 Di R. Serra vedi: Scritti, 2 voll., Firenze 1938, 19582 (che contengono fra gli altri il saggio sul Pascoli, Le Lettere, del 1914, l’Esame di coscienza di un letterato, del 1915); Epistolario, ib. 1934.

5 Di G. De Robertis vedi: Saggi, Firenze 1939; Scrittori del Novecento, ib. 1940, 19572; Saggio sul Leopardi, ib. 1944; Primi studi manzoniani, ib. 1952.

6 Di A. Gargiulo vedi: G. D’Annunzio, Napoli 1912, Firenze 19422; La letteratura italiana del Novecento, Firenze 1940, 19582; Scritti estetici, ib. 1954.

7 Di E. Cecchi vedi: La poesia di G. Pascoli, Napoli 1912; Studi critici, Ancona 1912; Storia della letteratura inglese del sec. XIX (vol. I), Milano 1915; Scrittori inglesi e americani, ib. 1953; Ritratti e profili, ib. 1957.

8 Di P. Pancrazi vedi: Ragguagli di Parnaso, Firenze 1920; Scrittori italiani del Novecento, Bari 1934; Scrittori italiani dal Carducci al D’Annunzio, ib, 1937; Scrittori d’oggi, 5 voll., Bari 1945-50.

9 Di C. Bo vedi: Otto studi, Firenze 1939; di O. Macrí: Esemplari del sentimento poetico contemporaneo, ib. 1941.

10 E fra i piú attivi critici di «terza pagina», oltre ai già ricordati in altra parte, Goffredo Bellonci, Giuseppe Ravegnani, Arrigo Cajumi, e, fra i piú giovani, Geno Pampaloni, Sergio Antonielli, Pietro Citati, ecc.

11 Di E. Donadoni vedi le monografie sul Foscolo (Palermo 1910, 19272), sul Fogazzaro (Napoli 1913, Bari 19392), sul Tasso (Firenze 1920, Venezia 19382, Firenze 19503).

12 Di A. Momigliano vedi: A. Manzoni, Messina 1915-1919, ib. 19483; G. Verga narratore, Catania 1923; Saggio sull’«Orlando Furioso», Bari 1928; Storia della letteratura italiana, Messina 1933-1935, 19382; Studi di poesia, Bari 1938; Introduzione ai poeti, Roma 1946; Ultimi studi, Firenze 1954; e fra i numerosi commenti almeno quelli alla Divina Commedia (Firenze 1945-1947) e ai Promessi Sposi (ib. 1951).

13 Di F. Flora vedi: Dal romanticismo al futurismo, Piacenza 1921, Milano 19252; D’Annunzio, Napoli 1926; I miti della parola, Trani 1931; Bari 19422; La poesia ermetica, ib. 1936, 19472; Storia della letteratura italiana, 5 voll., Milano 1940, 19533; Scrittori italiani contemporanei, Pisa 1953.

14 Di L. Russo vedi: G. Verga, Napoli 1919, Bari 19553; I narratori, Roma 1923, Milano 1950; F. De Sanctis e la cultura napoletana, Firenze 1928, Bari 19432; Problemi di metodo critico, Bari 1930, 19502; Elogio della polemica, Bari 1933; La critica letteraria contemporanea, Bari 1942-1943, 19532; Machiavelli, Bari 1945, 19573; Ritratti e disegni storici, 4 voll., Bari 1946-1953; Storia della letteratura italiana, I, Firenze 1957.

15 Di G. Gentile vedi: La filosofia dell’arte, Milano 1931; Dante e Manzoni, Firenze 1923; Manzoni e Leopardi, Milano 1928.

16 Di G. Pasquali vedi: Orazio lirico, Firenze 1920; Atene e Roma, Firenze 1918; Filosofia e storia, Firenze 1920; Storia della tradizione e critica del testo, Firenze 1934.

17 Di M. Valgimigli vedi: La poetica di Aristotele, Bari 1916, 19472; La «Iliade» di Omero, Firenze 1927, 19512; Saffo e altri lirici greci, Vicenza 1948, Milano 19543.

18 Di C. Marchesi vedi: L’Etica Nicomechea nella tradizione latina medievale, Messina 1904; V. Marziale, Genova 1914, 19342; Seneca, Messina 1920, Milano 19432; Storia della letteratura latina, Milano 1925-1927, Milano 19478.

19 Di L.F. Benedetto vedi: Uomini e tempi, Milano-Napoli 1953; di F. Neri: Il maggio delle fate e altri scritti di letteratura francese, Novara 1929, Torino 19444; di P.P. Trompeo: Il lettore vagabondo, Roma 1942; di V. Lugli: Il prodigio di La Fontaine, Messina 1939; di G. Macchia: Baudelaire e la poetica della malinconia, Napoli 1946; di G. Natoli: Figure e problemi della cultura francese, Messina 1956; di V. Santoli: Storia della letteratura tedesca, Torino 1956; di B. Tecchi: H. Carossa, Napoli 1946; di M. Praz: La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, Milano 1930, Firenze 19482; La crisi dell’eroe nel romanzo vittoriano, Firenze 1955; di S. Baldi: G.M. Hopkins, Brescia 1941; di G. Baldini: Melville o dell’ambiguità, Milano 1953.

20 Di S. D’Amico vedi: Storia del teatro drammatico, 4 voll., Milano 1939-1940. Un’ampia storia del teatro italiano è quella di M. Apollonio (Storia del teatro italiano, 4 voll., Firenze 1939-1950).

21 Di M. Barbi vedi: La nuova filologia e l’edizione dei nostri scrittori da Dante a Manzoni, Firenze 1938.

22 Di G. Contini vedi: Esercizi di lettura, Firenze 1939, 19472; Un anno di letteratura, Firenze 1942, 19462; e il commento alle Rime di Dante, Torino 1939, 19462.

23 Di M. Fubini vedi: U. Foscolo, Torino 1928, Firenze 19312; V. Alfieri, Firenze 1937, 19532; Stile e umanità di G.B. Vico, Bari 1946; Dal Muratori al Baretti, Città di Castello 1946, Bari 19542; Studi sulla letteratura del Rinascimento, Firenze 1947; Romanticismo italiano, Bari 1953; Critica e poesia, Bari 1957.

24 Di V. Rossi vedi: Il Quattrocento, Milano 1933; di C. Calcaterra: Il Parnaso in rivolta, Milano 1940; di U. Bosco: Petrarca, Torino, 1946; di R. Spongano: La poetica del sensismo e la poesia del Parini, Messina, 1933; di V. Branca: Boccaccio medievale, Firenze 1956; di L. Caretti: Filologia e critica, Milano-Napoli 1955; di A. Monteverdi: Letteratura italiana dei primi secoli, Milano-Napoli 1954; di G. Citanna: Il romanticismo e la poesia italiana, Bari 1935; di G. Toffanin: Storia dell’Umanesimo dal XIII al XVI secolo, Bologna 1933; di G. Getto: Interpretazione del Tasso, Napoli 1951; di M. Sansone: L’opera poetica di A. Manzoni, Messina-Milano 1947; di C. Varese: Cultura letteraria contemporanea, Pisa 1951.

25 Di G. Devoto vedi: Studi di stilistica, Firenze, 1950; Profilo di storia linguistica italiana, Firenze 1953; di A. Pagliaro: Saggi di critica semantica, Messina 1953; Nuovi saggi di critica semantica, Messina 1956; di A. Schiaffini: Momenti di storia della lingua italiana, Roma 1953. Una storia della lingua italiana viene ora preparata da B. Migliorini che ne ha pubblicato parti nelle ultime annate della «Rassegna della letteratura italiana».

26 Di questi due maestri, il cui insegnamento è assai presente all’attenzione attuale degli studiosi, si vedano almeno le due raccolte postume: C. De Lollis, Saggi sulla forma poetica italiana dell’Ottocento, Bari 1929; E.G. Parodi, Lingua e letteratura, a c. di G. Folena, 2 voll., Venezia 1957.

27 Significativa è in tal senso la edizione Einaudi delle opere del De Sanctis (diretta dal Muscetta) iniziata contemporaneamente a quella Laterza diretta dal Russo piú aderente al particolare sviluppo storicistico del suo direttore, e comunque anch’essa interessante come prova del grande interesse attuale per l’opera del De Sanctis, specie nella sua forte ispirazione critico-storica.

28 Di A. Gramsci vedi: Letteratura e vita nazionale, Torino 1950.

29 Di N. Sapegno vedi: Il Trecento, Milano 1934; Compendio di storia della letteratura italiana, 3 voll., Firenze 1936 e ss., e il recente Commento alla «Divina Commedia», Firenze 1955-1957.

30 Quale contributo personale di chi ha scritto il presente capitolo a questa opera di informazione critica, a questa esigenza di impostazione del proprio lavoro in una piena coscienza della tradizione critica e dell’attuale problematica, sia permesso di ricordare una storia della critica dei singoli autori della nostra letteratura: I classici italiani nella storia della critica, Firenze 1954-1955, a cura di Walter Binni, e la rivista da lui diretta «La Rassegna della letteratura italiana» che, con una piú precisa rispondenza al compito sopra enunciato, partecipa alla vasta attività di discussione e informazione variamente esercitata, con diverse tendenze, dalle numerose riviste attuali («Belfagor», di L. Russo, «Letterature moderne», di F. Flora, «Giornale Storico della letteratura italiana» di M. Fubini, N. Sapegno, V. Pernicone, «Lettere italiane» di V. Branca e G. Getto, «Convivium» di G.B. Pighi, «Rivista di letterature moderne» di C. Pellegrini e V. Santoli, «Letteratura» di A. Bonsanti e F. Ulivi, «Paragone» di A. Banti e R. Longhi, «Società», prima Firenze 1945 e ss., a Roma dal 1950, e con direzione nel ’45 di R. Bianchi Bandinelli, poi di vari contributi redazionali, dal ’53 al ’56 di G. Manacorda e C. Muscetta, e ora (’57) di Aloisi, Banfi, Bandinelli, Candeloro, Della Volpe, Fortunati, Luporini, Massolo, G. Natoli, Pietranera, Spinella, «Officina» di F. Leonetti e P. P. Pasolini, ecc.

31 Tale studio implica una nozione di poetica che si distingue non solo da quella del precettismo classicistico e da quella di semplice mondo intenzionale criticato dal De Sanctis, ma anche dalle formulazioni, pur cosí stimolanti, della critica romantica e simbolistica (fra Poe, Mallarmé e Valéry, Thibaudet, il cui riflesso è piú evidente in altre applicazioni di critici italiani contemporanei come Luciano Anceschi), in quanto essa non riduce intellettualisticamente il valore originale della poesia, ma ne storicizza la concreta formazione e la vita dinamica nello studio della complessa tensione espressiva dei poeti e delle loro tendenze costruttive, del loro implicito o esplicito prefigurarsi la traduzione poetica del proprio mondo interiore, delle proprie esigenze spirituali, culturali, storiche in contatto con le tendenze piú autentiche del loro tempo. La mia applicazione di tale nozione (per la quale rimando, fra le mie opere, ai seguenti libri: La poetica del decadentismo italiano, Firenze 1936; Metodo e poesia di L. Ariosto, Messina 1947; La nuova poetica leopardiana, Firenze 1947; Preromanticismo italiano, Napoli 1948) ha i suoi precedenti italiani soprattutto in alcuni aspetti della esperienza critica di Domenico Petrini (cui la morte precoce nel 1939 impedí di dare tutti i ricchi risultati che anche in tal direzione le sue prime opere promettevano: v. la raccolta a c. di V. Santoli, Dal Barocco al Decadentismo, 2 voll., Firenze 1957) e in quella già ricordata di L. Russo (specie nella sua opera La critica letteraria contemporanea).